È uno scudo inquartato quello dei Ruggi d’Aragona (Fig.1), cioè diviso da una linea verticale ed una orizzontale, intersecantesi fra di loro perpendicolarmente al centro, in quattro ripartizioni che raccolgono l’Arma dei Ruggi e della Casa Reale spagnola d’Aragona, retaggio del quattrocentesco Privilegio di Consanguineità già illustrato in altra parte.
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La blasonatura [1] dello stesso è:
“ Inquartato, nel I° di rosso al leone d’oro e nel IV° d’argento; nel II° e III° d’oro a quattro pali di rosso”; “les quatre barres d’Aragò [2] rosso e oro” simbolo araldico dei re della Corona d’Aragona che si ripete nella III sezione (sottostante la I), mentre nella IV sezione è il campo d’Argento e non “vuoto” come erroneamente blasonato da altri.[3]
L’arma dei Ruggi, dunque, è presente nel I° e IV° campo, mentre quella degli Aragonesi rimane nel II° e III° campo, in perfetta sintonia con quanto recita la normativa araldica. Al di sopra è posizionata una Corona di Dignità da Patrizio sormontata da una Tète de more [Testa di moro o di saraceno] posta di profilo e bendata che simboleggia l’antica nobiltà della Casata. Vuole indicare i Mori fatti prigionieri e resi schiavi al tempo delle Crociate o dalle galee di Rodi e di S.Stefano.
Di tale stemma ho individuato alcune varianti, tutte brisate [4] :
sui due Alberi Genealogici di Famiglia che si conservano nella mia abitazione, uno della seconda metà del Settecento ( Fig.2 ), l’altro degli anni trenta dell’Ottocento;
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scolpito nel marmo della tomba che raccoglie le spoglie del marchese Giovanni Ruggi d’Aragona e delle sorelle Giulia ed Enrichetta: recinto degli Uomini Illustri del cimitero di Salerno (Fig. 3 – 4);
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dipinto ad acquerello (fig. 5) su uno dei 140 documenti, come già riferito in altra sezione, che il mio trisavolo Egidio III Nicola allegò nell’anno 1818 al dossier personale presentato al Gran Priorato di Capua per la sua ascrizione a Capitano di Giustizia nel Sovrano Militare Ordine di Malta [5] ;
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ed ancora su un dipinto, sempre ad acquerello, del tardo ‘700 (Fig.6), anch’esso custodito nella mia abitazione, in cui lo scudo è contornato da una panoplia di bandiere, fucili con la baionetta innestata, cannoni, tamburi, elmi e corona che stanno ad indicare un alto Ufficiale dell’esercito borbonico [6]. A tal proposito ricordo che in Famiglia di tali autorità militari ce n’è stata più d’una, il che rende più complicata una attribuzione precisa;
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infine lo stemma brisato (Fig.7) che il Col. Pietro Ruggi d’Aragona, ottavo figlio del marchese Matteo Angelo II, creò per sé dopo aver ricevuto l’Onorificenza di Barone da re Gioacchino Murat il 9 luglio 1813, la cui blasonatura elaborata dal famoso araldista francese visconte Albert de Révérend [7] prontamente riporto:
“Titre de Baron héréditaire en faveur de Pietro Ruggi d’Aragona , chef de légion, par décret royal du XIV juillet 1813, et confirmé par lettre-patent du 18 novembre 1813, portant règlement d’armoiries: D’azur à une croix de Malte d’argent, chargée d’un bouclier oval de gueules, bordé d’or, à la bande d’argent chargée d’un lion rampant de gueules; au chef d’argent, échiqueté de gueules.”
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Tornando agli stemmi delle Fig.2, 4, 5 e 6, fondamentalmente identici, ma che con le loro brisure costituiscono una variante rispetto all’originario della Fig.1, s’impone la successiva delucidazione che però nella sua completezza ci chiarisce soltanto il perché, mentre il chi e il quando restano comunque enigmatici:
“ La prima vera bandiera del Regno di Napoli fu quella adottata da Carlo I d’Angiò al momento della sua incoronazione a Re di Sicilia nel 1266. È l’evoluzione del suo blasone in cui erano rappresentati i gigli di Francia, una concessione araldica che il Regno di Francia dava, a partire da Filippo il Bello ai nobili di particolare merito. Sulla cima della bandiera, in linea con quanto rappresentato dallo stemma angioino [8] di Fig.8, vi è un lambello rosso a 3 gocce, detto anche rastrello, che contraddistingue il ramo cadetto della casa d’Angiò.
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Il simbolo araldico divenne caratteristico delle famiglie del partito guelfo, capeggiato da Carlo I di Napoli, il quale lo diede in concessione alla casate nobiliari devote al nuovo sovrano di Napoli [1282]“.
Ed è sulla scorta di tale motivazione storica che sono fermamente risoluto a credere nella decisione di un mio antenato, non meglio identificato, di apportare tali brisure nell’Arma dei Ruggi d’Aragona, tempo dopo il conferimento alla Famiglia del quattrocentesco Privilegio di Consanguineità accordato da re Federico I, e di valersene poi con tutti i discendenti.
Menziono, infine, uguale stemma scolpito sulla faccia di un suggello per ceralacca (Fig. 9). Dei primi anni dell’Ottocento, da me serbato con gran cura per il ricordo che suscita, era proprietà di Gerardo Ruggi d’Aragona, Cav.di Giustizia dell’Ordine di Malta, Comandante di Galere ed altro naviglio della omonima Marina, terzogenito di Matteo Angelo II.
Venne da lui donato al nipote Egidio III Nicola, mio trisavolo, con una tenera lettera [9] del 5 settembre 1825 anch’essa pubblicata nella sez. Personaggi:
“ L’amore, l’affezione ed i vincoli intimi di parentela che ci ligano, mi danno un vivo piacere dimostrarvi un tratto della mia affezione, coll’inviarvi il presente suggello in cui è scolpita l’arma di nostra famiglia, dovendo questo esser per voi un perenne ricordo di uno zio che vi ama, e che sa riconoscere in Voi il vero rampollo della casa Ruggi. ”
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A questo punto si rende necessaria, direi indispensabile, una digressione che possa fornire un chiarimento, spero definitivo, sulla corretta interpretazione di una frase apposta sulla lapide tombale (Fig.10) del march. Giovanni Ruggi d’Aragona che per oltre un secolo ha dato e dà ancora adito a dubbiose, ambigue e comunque sempre errate deduzioni in chi poco conosce o ignora del tutto storia e genealogia della Casata, con particolare riferimento a quella attuale: “ Ultimo di sua stirpe”.
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Queste quattro parole non intendono esprimere altro che il 18 luglio 1870, con la dipartita del Nostro, “veniva ad estinguersi il suo ramo” o come si usa precisare in genealogia “si spegneva il suo ramo” in quanto il fratello primogenito Matteo non aveva provveduto a sposarsi, le quattro sorelle avevano abbracciato, tre la vita monacale ed una il nubilato e Giovanni stesso non aveva in alcun modo ponderato l’idea d’un matrimonio.
La frase invero, così come inserita nel contesto ingenera, in chi legge, la falsa deduzione che la stirpe dei Ruggi d’Aragona, tutta, sia finita quel lontano giorno del luglio 1870, pur non essendo stato cercato o voluto per essa un significato del genere. Eppure, a quel tempo e per quella occasione, l’ultimo superstite della stirpe, il continuatore della Casata, Filomeno Ruggi d’Aragona cugino del march. Giovanni Maria, veniva consultato nella sua abitazione napoletana da funzionari del Comune di Salerno in cerca di notizie private della Famiglia che potessero agevolarli nella edificazione del monumento sepolcrale [10]. Proprio come si usa ancora oggi quando viene a mancare un congiunto che non abbia contratto matrimonio. Ed è molto verosimile che il mio bisnonno dovette presentare al vàglio della commissione quei pochi ricordi storici di famiglia rimasti dalla depredazione, dalla devastazione subita nel 1799 ad opera delle truppe del Cardinale Ruffo (come si è detto in altra parte), tra cui lo stemma del Casato acquerellato ed i due alberi genealogici di Famiglia [11] che pure ne portano impresse le fattezze. Quello stesso stemma, insomma, che fu poi scolpito sulla lapide in uno con le quattro parole incriminate, certamente non profferite né suggerite da colui – Filomeno – che in quel momento era rimasto il solo, unico e legittimo continuatore della stirpe.
[1] Nel caso specifico si blasonano i quarti di seguito iniziando dal superiore “destro” (sinistra di chi guarda), passando poi al superiore “sinistro” (destra di chi guarda), indi ai due inferiori destro e sinistro. cfr. G.BASCAPE’-M.DEL PIAZZO, Insegne e simboli, Araldica pubblica e privata medievale e moderna, Ministero beni culturali-Uff.centrale beni archivistici, Roma, IPZS, 1999, p.563. [2] L.GOYTISOLO, Libro del conocimiento, Insegne dei Re d’Aragona, Guara, (Coleciòn Básica Aragonesa, 3),1978, – A.de FLUVIÀ y ESCORSA, Els quatre pals: l’escut dels comtes de Barcelona, Barcelona, R.Dalman, 1994. – G.FATAS y G.REDONDO, La bandera de Aragòn, Zaragoza, Guara, C.B.A., 1978, p. 34. – F.MENENDEZ PIDAL DE NEVASQÚES, Palos de oro y gules, Barcelona, J.Vallcorba, 1991, vol.IV, pp.669-704. [3] cfr. V.DE SIMONE, L’araldica nel Manoscritto Pinto, in “Specchi di Nobiltà”, Salerno, Print Art Ediz., 2013, p.140. [4] Brisura, dal francese briser: rompere o spezzare, nel caso specifico l’Arma di famiglia, significa inserire nella stessa una o più varianti allo scopo di distinguerla da quella di altre linee della Casa o di altri individui dello stesso ramo. – cfr. L.CARATTI di VALFREI, Araldica, Milano, A.Mondadori ed.,1996, pp.56-60. [5] ANDN, Protocolli Notarili, Nr. F. S. Cardito di Napoli, a.1832, atto 115, c.7r. [6] Nel periodo fra il 1700 ed il 1800, la famiglia Ruggi d’Aragona ha annoverato 4 personaggi di alto grado nell’Esercito Borbonico: Matteo Angelo II (nel 1738 Prèside e Govenatore delle Armi in Abruzzo Citra e poi Calabria Ultra), i suoi figlioli Pietro Colonnello Capo del Real Reggimento dei Veliti di Terra di Lavoro e Giuseppe II, Colonnello del Reggimento Re, infine Matteo, suo primogenito, Colonnello di Artiglieria. [7] ANF, Archives Nationales de France, Papiers des erudites-Papier du Vicomte Révérend, Titres conférès en Italie par l’Empereur et le roi de Naples, AB/XIX/2979, p.293. – AMOROSI V.-DAMIANO G., Stemmi di Murat, Ediz. Scientifiche e Artistiche, Torre delGreco, 2016, p.123. [8] Bandiere del Regno di Napoli-Epoca Normanna, Bandiera angioina, Nov./2015, www. wikipedia.org [9] ANDN, Protocolli Notarili, Notar F.Saverio Cardito, a.1832, N°di Repertorio 115, c.72r. (doc. 22) [10] Circa l’edificazione del suo sepolcro, Giovanni così stabilì al punto 9 del II Testamento (2 luglio 1870): “Dispongo e voglio che sul suolo di mia proprietà che nel 1867 acquistai nel Camposanto di questa Città, venga eretto un monumento in marmo alla memoria degli antenati della mia famiglia, convenentemente decorato, colla spesa non minore della somma di lire seimila. In tal monumento allora che i regolamenti lo permettono, dovranno collocarsi gli avanzi della mia dilettissima sorella D.Enrichetta quivi sepolta nel 1867 e dell’altra a nome Giulia Ruggi d’Aragona trapassata nel 30 aprile 1841, nonché quelli di poi della mia persona, e altresì una lapide portante lo stemma di famiglia ed una inscrizione analoga, nella mia cappella gentilizia esistente nella Chiesa dell’Annunziata di Salerno.” [11] Oggi presenti nella mia abitazione.